Il Dialetto Milanese e Carlo Porta
Il dialetto lombardo, come del resto tutti i dialetti non sono il frutto di corruzione della lingua italiana, ma sono l’evoluzione del latino parlato, volgare, nei vari luoghi.
I dialetti sono delle vere e proprie lingue neoladine. La definizione li penalizza, in quanto presuppone la presenza di una lingua formale, ufficiale, e una lingua solo parlata informale, per meglio dire confidenziale.
Il Milanese, che è una delle molte variazioni al lombardo, non è riconosciuto ufficialmente dal nostro Stato, come del resto la maggior parte dei dialetti. Tuttavia il lombardo è riconosciuto ufficiosamente dal consiglio d’Europa.
L’informalità e l’immigrazione proveniente da ogni parte dell’Italia ha portato ad un inevitabile e progressivo abbandono del dialetto. Ne è una prova la difficoltà a tradurre molti vocaboli in italiano anche per chi è nato e vissuto nei nostri luoghi. Il Rajberti usa nella sua poesia il vocabolo carsenza, provate a chiedere il suo esatto significato, sorta di focaccia o schiacciata dolce, e pochi saranno in grado di rispondere correttamente.
Molti scrittori diedero il loro contributo al dialetto milanese. Il primo che raggiunse livelli artistici fu Carlo Maria Maggi (1639–1699) ed ebbe il merito di far conoscere il milanese oltre gli stretti confini della città. Fu il creatore delle maschere di Meneghino, che soppiantò quella di Baltramm di Gagian. Con le sue commedie diede origine al teatro comico milanese, delineando oltre a Meneghino la sua compagna Beltramina e una serie di personaggi che rappresentano uno spaccato molto vivace della vita e del carattere milanese di allora.
In molti seguirono le orme del Maggi, raggiungendo buoni risultati. Ma dobbiamo arrivare a Carlo Porta per toccare i livelli più alti per vena e qualità artistica.
Porta nasce nel 1775 come risulta dai registri, ma il poeta, non si capisce se per vanità o assonanza poetica, afferma nei suoi versi:
Sont nassu sott a San Bartolomee
In del mila settecent settanta ses,
A mezz-dì del dì quindes de quel mes
Ch’el sô el riva a quel pont ch’el volta indrée.
(per continuare la lettura – circolare 3.14_febbraio 2012)